1996
Ho diciannove anni. Vesto jeans oversize un po’ strappati, magliette troppo larghe e un paio di scarpette Adidas Jabbar che mia mamma aveva trovato in una banchetta al mercato qualcosa come quattro anni prima (le ho portate così tanto che s’è aperto uno squarcio laterale in tutte e due le scarpe, ma non riesco a vedermi con nessun altro paio). Magliette e jeans testimoniano il mio rango sociale: sfigato, matricola universitaria, fine appassionato di musica e cinema e cultura pop anni novanta. Per sapere che film escono al cinema ci sono Ciak, Duel, la rubrica di cinema di Rumore e qualche servizio su TV Sorrisi e Canzoni. La mia pubblicazione preferita a tema è il volantino pieghevole stampato nella mia città con la lista dei film sala per sala. Autori, interpreti e cinque righe di trama, spesso con un mare di spoiler. Non è da moltissimo che ho imparato cosa sia un regista, e non sapendo nulla di film riesco a malapena a comprendere che a seguire i registi sbagli meno che a seguire gli attori, questo a parte alcuni attori che sono anche un po’ registi di se stessi anche se non firmano i film e bla bla bla. Ho capito da qualche tempo che la maggior parte dei film che vedo li devo vedere da solo. In parte è perché il gruppo di amici con cui andavo al cinema è ormai inflessibile su una tabella di marcia vanzina/verdone/parenti/emmerich/disney e in parte perché sono un lunatico sfigato vestito da lunatico sfigato, AKA non riesco a convincere nessuno ad andare a vedere qualcosa che voglio vedere io. Essendo un lunatico sfigato POVERO il mio cinema preferito sta in una cittadina di periferia: è un’ex balera rimaneggiata nei primi anni ottanta ospitare due nickelodeon enormi e quasi sempre semideserti. La programmazione prevede dal sabato al mercoledì un film in seconda visione (il biglietto sta a 3500 lire quando nelle altre sale sta a 7000); il giovedì/venerdì una sala fa i porno e l’altra fa una rassegna più o meno d’essai, sostanzialmente terze visioni o film che manco sono andati nelle sale in prima (diecimila lire per la tessera, sette film in programmazione: you do the math). La sostanza è che per vedere i film che mi va di vedere al cinema il mio first best è andarci da solo il giovedì sera, a quattro minuti da casa mia, in un cinema dove tutti sanno che chi entra da solo il giovedì sera si vede i porno.
Quando vedo Ancora vivo il film è già stato in sala da un pezzo (con scarsissimo successo), mi son letto tutte le recensioni e mi son fatto un’idea. Per prima cosa so che è molto simile a Per un pugno di dollari, ma che al contempo Walter Hill dichiara di non averlo mai visto e dice di essersi ispirato a La sfida del samurai di Kurosawa, che dichiaro IO di non aver mai visto (però in originale si chiama Yojimbo, lo stesso nome con cui un mio amico chiamava il suo narghilè). Le recensioni parlano sostanzialmente di un film stanco ed annoiato senza pacca, molto celebrativo e poco sostanzioso, una specie di dieta per stronzi infelici che vogliono farsi il viaggio del gangster movie. Walter Hill, al contrario, è uno dei miei supereroi: non ho mai visto i suoi ultimi film ma so recitare a memoris 48 ore, Ancora 48 ore e I guerrieri della notte. In questi anni la spocchia da amante di cinema colto a prescindere che si fa prestare le VHS dell’Unità dal vicino di casa sta più o meno sparendo in favore di un’ossessione per l’artigianato americano, quello che cerca di fare cose belle cercando di non soccombere alla logica del profitto di Hollywood. Ancora vivo, scopro, è un film dal fascino strano e misterioso, molto mascolino e sicuramente molto migliore delle critiche che il film si è tirato addosso. Un film minore fatto con il cuore e abbastanza memore di certe declinazioni da antieroe tipicamente anni cinquanta, mi viene un po’ in mente Una pallottola per Roy oltre che ovviamente il Clint Eastwood della trilogia del Dollaro. Il venerdì sono a studiare in biblioteca e scrivo una recensione più o meno di questo tono sul quaderno, per capirci. Il punto forte del film mi sembrano i comprimari: tutte facce da cinema stagionatissime e/o superglorie del b-movie ad ogni costo, bassa manovalanza del grande schermo in america a cui Bruce Willis si accoda senza strafare e senza fare male a nessuno. La donna superfiga è un clone di Carre Otis espressivo. Christopher Walken è Dio.
2011
Walter Hill non è uscito vivo dagli anni novanta. Ancora vivo è il suo penultimo film vero e proprio: da lì in poi si è messo al servizio di uno sci-fi chiamato Supernova in cui si fa scippare il final cut dalla produzione e decide di togliere pure la firma (risultato: il magnetico Robin Tunney), ha girato Undisputed (capolavoro) e lavorato come produttore/regista di serie TV (Deadwood è sua). Qualcosa comunque si muove, come ci informa Nanni Cobretti. Il cast è stato sostanzialmente seppellito vivo dal corso del tempo. David Patrick Kelly ha iniziato da tempo una carriera da tuttofare del piccolo e/o grande schermo. Christopher Walken è Dio. Gli altri sono brutti ceffi da cinema, tutti stagionati in mezzo allo strapotere delle serie TV. La sosia di Carre Otis sembra -tra le altre duemila cose- abbia recitato in un episodio di CSI interpretando un personaggio che si chiama Pippa Sanchez (mi piace questo elemento). Io ho smesso le magliette troppo grandi e i jeans strappati, ma non proprio del tutto. Le Jabbar invece mia madre le buttò via nei miei ventidue anni, per via degli squarci. Non le fanno più, scarpe come le Jabbar. Nemmeno film come Ancora Vivo. Mi trovo a riguardarlo una sera in cui non ho voglia di veder niente di nuovo e nemmeno abbastanza povertà di spirito da ripassarmi un Die Hard a caso. Da quella visione al cinema sono passati quindici anni, ma il film non se ne sente addosso nemmeno uno ed è mooolto più snello e negativo e divertente di come lo ricordassi. La prima cosa che mi accorgo di aver sottovalutato, comunque, è la colonna sonora (di Ry Cooder, nientemeno): il tema iniziale/finale è una bomba di country desertico distorto e malignissimo che anticipa cose tipo Sex Crimes e persino Vampires. Un’altra cosa che ho sottovalutato è Bruce Willis, così in buona e immobile e FIGO con quello sguardo da 1% Presi Bene che quasi uno non s’accorge che a metà film arriva Christopher Walken. Quasi. E boh, sì, Walter Hill che dice di non aver mai visto Per un pugno di dollari suona un po’ come se Gus Van Sant dicesse di non aver mai visto lo Psycho originale, ma c’è qualcosa di profondamente pessimista e bastardo in Ancora vivo che turba pesantemente ancor oggi. La critica ai tempi lo scambiò per un punto debole (l’intreccio un po’ così macchinoso, alcuni morti un po’ così gratis, un finale un po’ così non credibile), ma l’unico vero punto debole è che la maggior parte delle cose che fanno i personaggi la prendi per buona senza chiederti da dove venga. Tutto il resto è roba che ti esplode in faccia come se ‘sto film, alla fin fine, non l’avessi mai visto davvero prima di questa visione. è strano. E le sparatorie? Madò. Le sparatorie in Ancora vivo sono tutte costruite sul principio di snocciolare un paio di frasi storiche (“mi sembra di capire che vorresti uccidermi” “sì, e scusa se ti faccio male“), far volare del piombo per tre secondi netti e inquadrare dieci scagnozzi esanimi che buttano sangue sul pavimento. Bruce fa quell’espressione alla blue steel con le labbra strette e due automatiche in mano, occhi sempre serrati in dentro, cappello calato sugli occhi, maniche della camicia tirate su al gomito. Meraviglia. Titoli di coda:
httpv://www.youtube.com/watch?v=hY-6rlS-VyQ
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