Nuova estemporanea rubrichetta dei Calci in cui un redattore si rivede un film di culto dopo un sacco di anni, fa la conta dei vivi e dei morti e decide quanto e come e quanto abbia cambiato idea in merito al film stesso.
1994
Sta per uscire Pulp Fiction. Jean-Claude Van Damme ha appena svoltato con Senza Tregua. Fausto Bertinotti diventa il segretario di Rifondazione, Kurt Cobain si spara un colpo di fucile a bruciapelo, Baggio sbaglia il rigore alla finale dei mondiali con il Brasile. Il mio genere cinematografico preferito è il poliziesco ambientato nei ghetti con un sacco di rap in colonna sonora. Il Corvo esce al cinema e ce lo andiamo a sparare la prima sera. La formazione è quella che schieriamo tutte volte che si va al cinema in quegli anni: io, il Grezzo, Pode, Mela, Mani, Licio, il Timido e Pantani. Pantani (nessuna parentela) lo chiamiamo così per il cognome perché è lo sfigato del gruppo e vogliamo tenere le distanze. Ci diamo appuntamenti alle sue spalle per evitare che ci si appioppi addosso, ma in realtà io sono contento quando c’è Pantani, perché nella classifica della sfiga vengo al secondo posto -questo è già di per sé un gruppo composto da scartati degli altri gruppi del paesino, quindi il livello di sfiga è a dir poco allarmante- e se Pantani non c’è mi becco battutine e tozze in testa che almeno durante il cinema vorrei evitare. Al cinema ci si va in motorino, con le birre prese al bar dello sport (marche incredibili tipo Dana Brau, Von Wunster e simili: sanno di postumi molesti, ma riusciamo a spuntare un prezzo decente). SIAMO un testo dei primi 883. Conosco Cure e Joy Division perché mio fratello è flippato di wave e simili. Il mio gruppo preferito sono i Rage Against The Machine, il mio scrittore preferito è Bukowski, il mio regista preferito è Hitchcock (ho letto il libro). La mia parola preferita è “strippare”. Il mio sogno nel cassetto è quello di essere assunto da Marvel per disegnare il Punitore. Il Corvo, dalle voci in anteprima, passa per una megaproduzione horror patinatissima e/o il miglior film mai realizzato. I ragazzi sono ENTUSIASTI della colonna sonora, nonostante Pode, Mela e Licio abbiano da tempo iniziato a sfottermi per i miei ascolti punk e metal. Al cinema quella sera non sembra esserci nessun fan dei Cure.
Il Corvo è piaciuto ad ogni under-18 che l’abbia visto, eccezion fatta per Pode, il Grezzo, Licio e Mela che hanno da ridire perché s’aspettavano uno spaghetti-horror. Io non è che ci sia andato fuori, diciamoci la verità: fu bello vederlo al cine, ma all’uscita magari pioveva e insomma alla fine Il Corvo mi sembrava una cosa sul genere Edward Mani di Forbice di menare con una colonna sonora troppo darksy fartsy. E persino a me che non avevo mai limonato tutte quelle smancerie da amore eterno tra Eric e Shelly facevano cagar sotto dal ridere. Più in generale la cosa che infastidisce è l’assunto di base: il Corvo è ambientato in una città americana in cui i criminali si vestono in modo pittoresco, amano giocare con coltelli/spade/macchine d’epoca e vivono in loft arredati da un fan dei Cabaret Voltaire (meglio se sopra un club di tendenza). Come in Batman o nei Guerrieri della notte. Per i tre quarti del film è lecito pensare che se uno di questi assassini entrasse in una qualsiasi crack-house verrebbe falciato a colpi di Uzi senza manco essere riuscito a pulirsi i piedi sullo zerbino. Nessuno dentro al Corvo fa un lavoro normale, a parte un tizio dentro al camioncino degli hot dog, e in linea di massima il fatto che la vittima di un omicidio torni dalla morte accompagnato da un corvo per fare una strage dei suoi assassini è la parte più plausibile del film. Comunque c’è qualcosa di positivo. Voglio dire, sempre meglio che Edward Mani di Forbice e il film di Batman, e poi piove per tutto il film e c’è tutta una decadenza di fondo che per contrasto prende benissimo, poi Eric Draven è comunque un sadico e un eroe con sfumature negative –e c’è una sparatoria di quattro minuti, e c’è un duello di spade sul tetto di una chiesa in cui blablabla. Sono moderatamente soddisfatto del Corvo, mi riprometto di rivederlo quando uscirà a noleggio (nel ’94 ci vuole un annetto). Non succederà: nel frattempo s’è deciso che Il Corvo è il titolo chiave per capire il rock nella nostra generazione, in giro per i posti aumentano esponenzialmente i tizi vestiti di pelle nera dalla testa ai piedi (occasionalmente qualcuno si trucca pure, certe feste di Halloween dalle parti del ’95-’96 sono state davvero imbarazzanti), molti di loro non sono al corrente dell’esistenza dei Nine Inch Nails. La nostra generazione al suo peggio, citando Victor Ward in Glamorama. Lo rivedo in TV e penso che sia un filmetto patetico. Segue un buon decennio in cui solo sentirlo nominare mi provoca la nausea.
2011
Brandon Lee è morto nella lavorazione del film. Il suo mito rimane più o meno intatto fino ai nostri giorni: Il Corvo è il suo miglior film, seguono Drago d’acciaio e Resa dei conti a Little Tokyo. Michael Wincott ha scavato il suo ruolo di icona nel cinema degli anni novanta con perseveranza e stile. Gigantesco in Strange Days, debordante in Basquiat, geniale in Uno sbirro tuttofare. È l’unico motivo d’interesse della maggior parte dei film che ha interpretato da allora. All’epoca di Montecristo tornerà in scena con i capelli lunghi (OT: ma quanta SFIGA c’era dentro Montecristo?). David Patrick Kelly ha fatto cilecca nell’industria del cinema come qualunque altro attore uscito dai Guerrieri della notte, con l’ironica eccezione di James Remar. Ai tempi del Corvo era già un ripescato. Da allora non gli è andata molto meglio. Tutti gli attori di contorno, volenti o nolenti, sono spariti. La ragazzina che interpreta Sarah, tale Rochelle Davis, torna sul set per girare la scena con Brandon Lee di spalle e non reciterà più. In rete si trova qualche traccia di una condanna per droga. Quelli a cui è andata bene (tipo Ernie Hudson) fanno da comprimari nelle serie TV. La miglior fine l’ha fatta Bai Ling. Il Corvo è il suo primo film americano, e l’inizio di un’ottima carriera da tappabuchi asiatico a Hollywood con qualche puntata da protagonista (a 40 anni e passa, per dire, è la cinese matta e anoressica in Crank: High Voltage). I Cure sono arrivati al Corvo in una serie positiva invidiabile: Wish, di due anni prima, era ancora un disco figo (c’era Friday I’m in Love, per dire). Dopo Il Corvo Robert Smith ha perso la bussola ed iniziato a inanellare un aborto dopo l’altro. Gli altri gruppi in colonna sonora hanno fatto quasi tutti la fine del topo: i più si sono sciolti, gli altri sono inattivi. Quelli che appaiono direttamente nel film (Medicine e My Life With the Thrill Kill Kult) sono stati giustamente dimenticati da chiunque non si sia bruciato il cervello di speed verso il ‘95. Probabilmente è dovuto più ai tempi fisiologici del rock’n’roll che alla presenza in colonna sonora. Alex Proyas lavora poco e –tendenzialmente- molto bene. Il suo primo film dopo Il Corvo è Dark City (ottimo), seguono Io Robot (la miglior cosa che potesse uscir fuori da uno stupro di Asimov con Will Smith protagonista), un rock-movie (che non ho visto) e Segnali dal Futuro (che purtroppo sì). Quello che ha fatto la fine peggiore è stato Il Corvo. La parte positiva del suo successo sono il suo successo, la ristampa internazionale in pompa magna del fumetto di O’Barr e poco altro. Nel 1996 esce un sequel chiamato City Of Angels. City Of Angels più che il seguito sembra il vice-Corvo: stesso plot un po’ meno avvincente, personaggi un po’ più caricati e attori un po’ (molto) più merdosi, dietro la macchina il regista dei video fighi dei Cure. L’unica vera idea alla base del progetto, a posteriori, è quello di fare interpretare la ragazzetta a Mia Kirshner e costringerla a fissare la telecamera per tre quarti delle scene in cui è presente con quei begli occhioni sbarrati stile Black Dahlia. Il film incassa un botto nel primo weekend, poi la voce circola e la bagarre finisce. A livello di recensioni City of Angels è il film peggio accolto dalla critica cinematografica negli anni in cui mi cagavo la critica cinematografica. Un paio d’anni dopo il Corvo torna alla ribalta nell’immaginario rock in versione MACCOSA: il terzo capitolo viene affidato armi e bagagli nientemeno che a Rob Zombie, la cui unica esperienza cinematografica ai tempi era aver diretto i video del suo gruppo. La cosa viene pompata dalle riviste dell’epoca come la COSA del nuovo millennio: il suo script verrà rifiutato, ma non abbastanza in fretta da impedire a Rob di diventare uno dei capisaldi culturali della nostra generazione, una specie di incrocio tra Tarantino e Marilyn Manson col cervello bombato di steroidi (La casa dei 1000 corpi, badate bene, uscirà solo cinque anni dopo). Salvation non l’ho mai visto, è uscito nel 2000. I motori di ricerca mi informano che c’è un altro episodio del 2005, Wicked Prayer, di cui non sapevo nulla. Il morto che ritorna è interpretato da Edward Furlong. LOLLONI. Mi informano anche che c’è una serie canadese intitolata The Crow: Stairway to Heaven con protagonista Mark Dacascos. LACRIME DI GIOIA. Non so se l’hanno tradotta in italiano, magari reintitolandola Le cronache di Corvia, ma so cosa fare nelle mie prossime serate. La minaccia più grande tuttavia è quella che viene dal remake in produzione in questo momento: a un certo punto sembrava un film diretto da quello scalzacani di Stephen Norrington, scritto dal medesimo in coppia con Nick Cave e interpretato da Mark Wahlberg. Al momento la cosa è stata degradata ad un livello di SFIGA tale che alla regia c’è quello di 28 settimane dopo (il quale, lo dico se vi vergognate del vostro nome, è Juan Carlos Fernadillo) con un possibilissimo Bradley Cooper al posto di Brandon Lee. Ai vecchi tempi a sentire ‘sta cosa sarebbe venuta giù la Curva, ma Bradley Cooper ormai minacciano di infilarmelo pure dentro ai cornflakes. Nel frattempo l’originale me lo sono rivisto. Per un motivo o per l’altro non l’ho guardato per un decennio. Ora ho concordato una terapia di coppia con la mia fidanzata che consiste -sostanzialmente- nel farle vedere tutti i film generazionali della mia generazione e darle modo attraverso di essi di capire le mie psicosi. Fondamentalmente Il Corvo è molto migliore di quello che pensavo, e svetta di gran lunga su gran parte dei film-spazzatura generazionali di quegli anni. C’è qualche sfondo di cartongesso, e la parte realizzata al computer dopo la morte di Brandon Lee fa un po’ Boris, ma il film tiene il tempo da dio, probabilmente per aver calcato la mano così tanto su una città inverosimile. Tra l’altro il dark come concetto (ripulito) è tornato di moda per via di Horrors e gruppacci simili, mentre se provate a vedere come stava vestita la gente in cose tipo Pump Up the Volume o Giovani carini e disoccupati vi si gela il sangue.
Cose su cui il tempo non è stato gentile con il Corvo: la principale è vedere volare l’uccello sopra le città con gli incendi al computer, e ok. Al secondo posto c’è che Brandon Lee è doppiato da Luca Ward. Nel post-Gladiatore è terribile sentirgli urlare trenta ore di sofferenza tutte insieme tutte per te (un velato riferimento, suppongo, al numero di sequel e remake che ci sarebbero toccati). Al terzo posto c’è rendersi conto che -appunto- nessuno degli interpreti l’ha sfangata in modo davvero degno, come se il film gli avesse portato DAVVERO sfiga. Al quarto posto tutte le scene con Michael Wincott a parte quando dice “signori, propongo un minuto di silenzio in onore del povero Tin Tin” e poi si sniffa una pista di coca lunga quanto la Puglia.
Cose su cui il tempo ha influito in positivo: quasi tutti i combattimenti. Non che siano chissà che, ma quello iniziale è un pestaggio vero e proprio, e la sparatoria nel pre-finale ha una gran botta vecchio stile (l’audio ti manda fuori, ancor oggi è difficile trovarsi una sparatoria cazzuta con sotto un sottofondo industrial). Poi: ci si trova col magone mentre Eric Draven si trucca allo specchio e si affaccia alla finestra avvolto di nero, come se ogni volta che passa il film sullo schermo fosse la sua messa in memoria. Terzo: nel corso degli anni si è capito che è quasi impossibile adattare un fumetto per il cinema cambiandone i contenuti MA rispettandone almeno parte della sostanza. E boh, più che altro è una cosa d’insieme. Il film funziona ancora, è drittissimo, non c’è nessun mistero, nessun rovesciamento del finale e chissà che altro. Come il fumetto: uno torna dalla tomba, dice un paio di filastrocche e li ammazza tutti come dei cani. Dovrebbe chiudersi dopo la sparatoria e la morte di Skank, questo sì, ma riesce comunque a non suonare troppo patetico.
Fine del primo episodio di ricercati ufficialmente morti. Lo dedichiamo idealmente a Peter Steele, a poco più di un anno dalla sua morte. Aveva l’occhio lungo e scritto la massima hit sugli effetti devastanti del Corvo per la nostra generazione, un anno prima che Il Corvo uscisse.
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